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In futuro si dovrà tener maggiormente conto dell’aspetto climatico nella politica agricola svizzera. Un possibile punto di partenza sono i contributi per i sistemi di produzione ai sensi dell’articolo 75 della legge sull’agricoltura. Nel tentativo di definire criteri che devono essere adempiuti da un sistema di produzione rispettoso del clima, diventa subito chiaro che occorre di più dell’esclusione di determinati mezzi di produzione oppure della disponibilità di determinate tecnologie. Anche a livello internazionale la definizione di un sistema di produzione rispettoso del clima (spesso denominato «Climate Smart Agriculture (CSA)») risulta piuttosto complessa. Whitfield et al. (2018) sostengono che le interpretazioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e del Consultative Group on International Agricultural Research (CGIAR) hanno un’accezione molto ampia e si orientano ampiamente ai criteri fondamentali di sostenibilità, che sono stati discussi già ben prima dell’inizio del dibattito sul clima. In genere regna l’unanimità sui tre pilastri principali: 1) sicurezza alimentare, 2) adeguamento ai cambiamenti climatici e 3) riduzione delle emissioni di gas serra. Nel contesto svizzero la protezione climatica potrebbe essere centrale, benché si dovrebbe perlomeno mantenere il livello di produzione. Nel presente articolo sono illustrati i punti principali di una produzione rispettosa del clima.

Feed no Food: adeguare la densità di animali all’offerta di foraggio localmente disponibile

In Svizzera l’80 % circa delle emissioni agricole di gas serra (emissioni di GES) può essere riconducibile alla produzione animale, di cui la maggior parte alla detenzione di ruminanti (Bretscher et al. 2018). La produzione lattiera e di carne di manzo assume quindi un’importanza particolarmente elevata. A tal proposito l’impostazione precisa del sistema di detenzione svolge un ruolo piuttosto secondario. I dati della pratica mostrano esigue differenze nell’intensità dei gas serra (kg di CO2equivalente per kg di latte) tra la tenuta al pascolo estensiva e la stabulazione più intensiva (Zollitsch et al. 2010, Zumwald et al. 2018). Malgrado la prestazione per singolo animale relativamente modesta, i sistemi basati sul pascolo vanno considerati vantaggiosi poiché è somministrato soltanto poco foraggio concentrato e le emissioni correlate allo stoccaggio delle deiezioni sono inferiori rispetto alla stabulazione. Emerge inoltre che per una stima completa dell’intensità dei gas serra è necessaria un’analisi calibrata alla situazione del sistema globale (produzione lattiera, produzione carnea, foraggicoltura, utilizzo della superficie e modifica dell’utilizzo della superficie) (Zehetmeier et al. 2012). Il potenziale di ottimizzazione è tuttavia spesso relativamente contenuto, il che può essere riconducibile, perlomeno parzialmente, all’elevato livello di produzione. Eventualmente possono essere compiuti ancora dei progressi nell’ambito della produttività per giorno di vita, in particolare tramite un aumento del numero di lattazioni delle vacche da latte, oppure a livello della gestione delle mandrie e della selezione (Meier et al. 2017, Zehetmeier et al. 2012 e de Haas et al. 2017).

Solitamente più importante rispetto alla gestione delle mandrie è l’ottimizzazione dell’efficienza di conversione degli alimenti per animali (kg di prodotto per kg di foraggio). L’allevamento di pollame presenta in genere l’efficienza più elevata, seguito dalla detenzione di suini e dalla produzione lattiera. La produzione di carne bovina presenta un’efficienza di conversione degli alimenti per animali comparativamente bassa e registra sia per chilogrammo di carne sia per chilogrammo di proteine le più elevate emissioni di GES (Herrero et al. 2013). Va tuttavia segnalato che i ruminanti possono valorizzare alimenti per animali non consumabili dall’uomo. Al fine di tenere conto di questo aspetto in un criterio di efficienza, occorre considerare l’indicatore della «competizione alimentare». Esso si basa sugli alimenti per animali utilizzati e descrive la quota di proteine potenzialmente digeribili dall’uomo, l’energia correlata alla produzione effettiva di proteine e l’energia sotto forma di latte e di carne (Zumwald et al. 2019). Ne emerge che la detenzione di ruminanti basata sulla superficie inerbita ottiene risultati decisamente migliori rispetto ai sistemi con un’elevata quota di foraggio concentrato (Steinwidder et al. 2016). Per considerare anche l’aspetto dell’utilizzo della superficie, il concetto va esteso alla «competizione tra superfici» (van Zanten et al. 2016 e Zumwald et al. 2019). Questo indicatore rileva per una determinata superficie il potenziale di produzione di derrate alimentari per il consumo umano, confrontandolo con il quantitativo delle derrate alimentari di origine animale effettivamente prodotte. Sulla base di questa considerazione sono privilegiate le superfici per la produzione animale, che non possono essere usate a fini campicoli, come per esempio le superfici inerbite su pendii ripidi. Praticamente la densità di animali dovrebbe essere adeguata all’offerta di foraggio disponibile localmente di queste superfici (Mosimann et al. 2017). In tal modo i cicli delle sostanze nutritive locali sarebbero il più possibile chiusi. Andrebbero inoltre preferiti gli alimenti per animali provenienti da sostanze residue e da sottoprodotti dell’industria alimentare, mentre il foraggio concentrato dovrebbe essere utilizzato soltanto in misura molto limitata. Su questa base si potrebbe creare un incentivo per un maggiore utilizzo diretto delle superfici campicole per l’alimentazione umana a scapito della, di gran lunga meno efficiente, produzione animale. In combinazione con una conseguente conversione del comportanto di consumo verso un’alimentazione sempre più basata sui vegetali, si otterrebbe una significativa riduzione delle emissioni di GES.

Efficienza dell’azoto: pianificazione meticolosa dell’avvicendamento delle colture e della concimazione azotata

Sono necessari ulteriori progressi a livello dell’efficienza in particolare anche nell’ambito della gestione della concimazione azotata. Per la Svizzera Bosshard et al. (2012) hanno constatato in occasione di una verifica del metodo Suisse-Bilanz un considerevole potenziale di risparmio. Mediante una gestione dei concimi aziendali caratterizzata da perdite minime e una meticolosa pianificazione della concimazione azotata relativa alle singole particelle si mira a limitare le significative perdite di azoto sotto forma di ammoniaca e nitrati. A tal proposito è importante considerare l’elevato valore di concimazione del concime aziendale al momento della pianificazione, riducendo di conseguenza il quantitativo totale di azoto distribuito (Bergfeld et al. 2017 e Flessa et al. 2014). A tal fine sarebbe molto utile uno strumento di pianificazione di facile utilizzo e completo che tenga conto del maggior numero possibile di fattori come, per esempio, il fabbisogno di sostanze nutritive dei vegetali, l’effetto della coltura precedente, lo stato d’approvvigionamento del suolo, le proprietà dei concimi utilizzati e le tecniche di spandimento. I dati in merito sono riassunti nei «Principi di concimazione per le colture agricole in Svizzera» (Richner et al. 2017). L’approvvigionamento in azoto sul piano temporale e spaziale dovrebbe corrispondere nella misura maggiore possibile al fabbisogno dei vegetali poiché quantitativi troppo elevati determinano un’eccedenza diazoto minerale liberamente disponibile nel suolo e, di conseguenza, emissioni di protossido di azoto (N2O) proporzionalmente troppo elevate (Kim et al. 2013 e van Groeningen et al. 2010). Snyder et al. (2009) forniscono un’ottima panoramica sui rispettivi potenziali di riduzione delle emissioni di N2O e presentano raccomandazioni concrete per la pratica.

L’efficienza dell’azoto non è una tematica nuova nell’ambito della politica agricola. Già nel 2009 Hartmann et al. hanno constatato che vi sono troppi pochi incentivi per i gestori affinché riducano le eccedenze di azoto e che gli strumenti politici esistenti sono insufficienti per tener conto della complessità del ciclo dell’azoto. Propongono di considerare in futuro l’input di azoto e l’utilizzo della superficie. A tal fine la produzione dovrebbe essere incentrata soprattutto su colture e varietà efficienti dal profilo dell’azoto. Leip et al. (2014) illustrano, per esempio, le diverse impronte dell’azoto dei vari prodotti agricoli. Grazie alla loro capacità di fissare l’azoto atmosferico, le leguminose sono particolarmente interessanti e la più frequente integrazione delle leguminose nell’avvicendamento delle colture offre diversi vantaggi ecologici (Nemecek et al. 2008). Gli avvicendamenti delle colture vanno pertanto adeguati alle condizioni di produzione naturali(clima, topografia, proprietà del suolo)del luogo in questione e ottimizzati dal profilo dell’efficienza delle sostanze nutritive e delle risorse. In questo contesto rientrano anche riflessioni su colture intercalari, sottosemine, copertura del suolo e lavorazione del suolo.

Immagazzinamento del carbonio: gestione del suolo rispettosa dell’humus

Un utilizzo del suolo sostenibile è un altro pilastro fondamentale di un sistema di produzione rispettoso del clima. Il carbonio disponibile nella biomassa, che non è rimosso tramite il raccolto, dovrebbe essere trasformato in una forma il più stabile possibile ed essere immagazzinato nel suolo il più a lungo possibile. Il mero trasferimento di carbonio, per esempio sotto forma di concime aziendale e di compost, non comporta di per sé alcun beneficio per il clima. Anche tra le varie forme di lavorazione meccanica del suolo (aratura, lavorazione del suolo ridotta, semina diretta) non si è potuto finora rilevare una differenza riguardo al tenore di carbonio totale e alla relativa variazione (Luo et al. 2010 e Angers and Eriksen-Hamel 2008). L’utilizzo di carbone vegetale e l’aratura in profondità determinano, a quanto è noto, un arricchimento del carbonio nel suolo. Tuttavia queste tecniche devono essere ancora oggetto di ricerche approfondite e la loro applicabilità ad ampio raggio deve essere esaminata. Contemporaneamente alle attività che potenzialmente promuovono l’humus, vanno protette e preservate le riserve di carbonio già presenti nel suolo. A tal proposito si presentano sfide particolarmente grandi a livello della gestione dei suoli paludosi. Se proprio necessario, in base alle conoscenze attuali, al massimo una gestione estensiva sotto forma di una coltura palustre in suoli paludosi (nuovamente) intrisi d’acqua sarebbe conciliabile con un sistema di produzione rispettoso del clima. Vanno approfonditi gli effetti dei riempimenti o della coltivazione di riso in sommersione in questi suoli.
 

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Consulenza, bilanci e osservazione

Le emissioni di gas serra nelle aziende agricole hanno origine per lo più dai processi biochimici di animali, vegetali e suoli. Questi processi sono interconnessi, pertanto un intervento in un luogo specifico spesso determina trasferimenti di emissioni. L’attuazione delle misure per la riduzione delle emissioni di gas serra nelle aziende agricole è quindi una sfida complessa. Bergfeld et al. (2017) raccomandano quindi che le questioni relative alla protezione del clima vengano trattate sempre più nell’ambito della consulenza agricola. Le prime esperienze derivanti dal progetto AgroCO2ncept Flaachtal confermano che una consulenza specializzata è essenziale per una protezione del clima efficiente. Sono molto utili anche le offerte mirate di perfezionamento professionale per agricoltori e la diffusione di conoscenze derivanti dalla pratica tramite lo scambio reciproco di esperienze. Una comprensione approfondita del sistema può aumentare l’accettazione e l’efficacia di una misura nelle cerchie contadine.

Al fine di attuare con successo strategie di riduzione dei GES nel settore primario, è inoltre indispensabile avere accesso a stime delle conseguenze affidabili e facilmente fruibili dei vari sistemi di utilizzo della superficie e di coltivazione. In considerazione delle condizioni e dei vincoli locali talvolta molto diversi (suolo, clima, struttura aziendale, contesto sociopolitico), possono essere identificati e attuati i potenziali più promettenti. A tal proposito sono molto utili i modelli destinati all’allestimento di un bilancio dei gas serra specifico di un’azienda. Numerosi strumenti di bilanciamento e di pianificazione sono disponibili gratuitamente su Internet (Crosson et al. 2011, del Prado et al. 2013, Denef et al. 2012, Kätsch e Osterburg 2016, Sanjo et al. 2016 e Whittaker et al. 2013). Il ventaglio di strumenti spazia da quelli poco dispendiosi come il controllo dell’energia e del clima di AgroCleanTech, ideali per una prima analisi approssimativa del potenziale, a modelli dettagliati come per esempio ACCT, in cui può essere simultato l’effetto delle misure concrete. A tal proposito le sfide riguardano il rilevamento delle varie interazioni tra i vari processi di emissione e la corretta stima dei flussi di gas serra dei suoli (van Lingen et al. 2018, Goglio et al. 2017 e Peter et al. 2016). Anche modelli per la stima dei flussi di azoto, come per esempio AGRAMMON, sono ausili utili, poiché nella maggior parte dei casi vi è uno stretto legame tra l’eccesso di azoto e le emissioni di gas serra (Clark e Tilman 2017 e Schils et al. 2007). Infine l’evoluzione incerta del tenore di carbonio degli strati superficiali del suolo può essere stimata mediante il bilancio dell’humus. Per tenere conto della delocalizzazione della produzione a causa di rese minori, gli indicatori e i sistemi di monitoraggio andrebbero concepiti in base all’intensità delle emissioni, più precisamente quelle per unità prodotta di energia e/o di proteine (Hillier et al. 2011 e McAllister et al. 2011). Nella tabella seguente sono elencati alcuni possibili indicatori che possono servire a valutare l’impatto climatico di un sistema.

Necessità di una prospettiva di sistema e di una visione completa

Lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura è a malapena sufficiente per raggiungere la riduzione dei gas serra necessaria per rispettare il secondo obiettivo della Convenzione di Parigi. Le analisi del modello si fondano su un potenziale tecnologico del 20-40 % a un livello globale (Wollenberg et al. 2016). La maggior parte di questo potenziale è riconducibile agli incrementi in termini di efficienza in Africa, Asia e America del Sud. Nell’agricoltura per lo più molto intensiva praticata in Europa ha potuto essere raggiunto soltanto un risparmio medio del 10 % all’interno di un programma su vasta scala (Fundación Global Nature 2014). Secondo Pretty (2018) è quindi necessaria una ridefinizione completa degli agroecosistemi. Altri studi concludono che soltanto mediante un approccio integrale lungo l’intera filiera alimentare che coinvolga tutti gli attori, dai produttori ai consumatori, si possono ridurre le emissioni di gas serra in maniera significativa (Bryngelsson et al. 2016, EEA 2017, Garnett 2011, Meybeck e Gitz 2012).

Il successo di un sistema di produzione e la riduzione di emissioni GES effettivamente raggiunta dipendono da un cambiamento di paradigma. Uno degli aspetti fondamentali è quindi che gli agricoltori sviluppino innanzitutto un’adeguata consapevolezza sulla questione del clima, in modo che sappiano posizionarsi e che possano e debbano fornire un contributo positivo. L’approvvigionamento di derrate alimentari va quindi orientato, congiuntamente a trasformatori, distributori e consumatori, versa una strategia di sostenibilità sul lungo periodo e completa. Non da ultimo anche i consumatori contribuiscono in maniera significativa, preferendo a livello delle scelte di consumo prodotti con un impatto ambientale minore (p.es. più prodotti a base di vegetali, stagionali, regionali, poco trasformati e sfusi).

A tal fine l’UFAG, assieme alla ricerca, elabora continuamente principi come la modellizzazione dei serbatoi e delle fonti di carbonio nei suoli utilizzati a scopo agricolo. Ha partecipato alla realizzazione di AgroCleanTech, una piattaforma per lo scambio di informazioni e il trasferimento delle conoscenze sulla tematica della protezione del clima nell’agricoltura. Nel quadro del programma delle risorse oppure in base all’ordinanza sulla promozione della qualità e della sostenibilità nell’agricoltura e nella filiera alimentare, è finanziata e seguita l’attuazione di progetti pilota. È inoltre in preparazione il lancio di un dialogo tra gli attori riguardo all’alimentazione rispettosa delle risorse. Infine le conoscenze acquisite dovrebbero essere considerate nell’evoluzione della politica agricola, concretamente per esempio nella concezione di contributi per i sistemi di produzione.

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